Reazioni alla lettura del saggio


1.

Dopo alcuni mesi dalla pubblicazione, nel corso dei quali il saggio Sei Introverso? è stato letto da più di mille persone, è opportuno operare una riflessione sugli effetti che la lettura ha prodotto. Naturalmente, tale riflessione non si basa su un'indagine condotta sulla base di un questionario, bensì su un campione di lettori la cui testimonianza ho raccolto personalmente.

Esemplare è, a riguardo, la testimonianza di Licia Beltrami, la correttrice di bozze del materiale sui gruppi di auto-aiuto pubblicato da Renzo Marinoni, che riporto:

"Paolo, un amico comune, riferì a Renzo, l'autore del materiale di lavoro che segue, che ero disponibile come "correttrice di bozze", lavoro che non è minimamente legato al mio, è solo qualcosa che mi piace fare e di solito mi riesce con facilità.

Probabilmente è un aspetto della mia personalità che ben si collega col mio perfezionismo.

Il lavoro fatto questa volta, comunque, può essere definito in molti modi, ma sicuramente non perfetto. Qualcos'altro ha preso il primo posto, il sopravvento, in maniera del tutto inaspettata: la storia personale di Renzo e della sua introversione sono state la porta che mi ha fatto entrare in un ambiente familiare, ma ormai sconosciuto: la mia interiorità, e mano a mano che procedevo, ho ritrovato me stessa e mi sono sentita, finalmente, accolta, a casa.

Un lavoro fatto col cuore non era stato messo in programma!

Giorno per giorno, nei tempi che vi potevo dedicare, diventava sempre più qualcosa di personale, che facevo per me.

Quando potevo andavo nel bosco, leggevo e correggevo a mano, con carta e penna, per permettere alle emozioni di fluire. La prima volta fu un "caso" (mi alzai al mattino col desiderio di ascoltare il fruscio del vento tra gli alberi), poi non lo fu più.

Quante volte, sono riuscita a rendermi conto di quanto mi condizionano, anche solo le pareti che mi circondano tutti i giorni? Non spesso, ma fra tutte le intuizioni che mi si presentavano leggendo, ho percepito anche questa: dovevo permettermi di "sentire", forse era il momento giusto e l'opportunità che inconsciamente stavo aspettando.

In tutto il materiale che segue, c'è una logica, ma non è un lavoro mentale e così anche il mio, per una volta, è diventato un sentire anziché un pensare.

Erano anni che non mi interrogavo sulla mia introversione, non ero sicura di potermi definire introversa, mi sembrava piuttosto di spostarmi tra due polarità opposte, quasi un "vorrei, ma non posso", e certo non sapevo che qualcuno avesse scritto un manuale sull'argomento.

Arrivò così, con l'inizio della lettura del manuale scritto dal dott. Anepeta e con questo lavoro, il primo seme della presa di coscienza: sì, anch'io sono introversa. Non fu cosa immediata, tant'è che uno degli scritti che rimaneva indietro nel mio esame, era proprio quello dell'"Accettazione".

Iniziai con i temi più brevi o "semplici", quelli relativi ai gruppi e gli esercizi, ma già quest'ultimi mi colpirono: "posso" dirmi ti amo? "dovrei" dirmi che mi accetto e mi approvo? In una cosa così semplice era già in agguato il giudizio: ma è da egoisti!

Non era certo la prima volta che mi capitavano sotto mano frasi di questo tipo, pure mi rendevo conto con forza di quanto condizionamento stavo ancora subendo in relazione all'amore per me stessa.

"Ci prepariamo per un volo dentro noi stessi" completò il quadro di quanto fosse difficile lasciar nascere un radicato amore per me e riconoscere il mio diritto ad essere felice, indipendentemente da quanto accadeva intorno a me o alle persone vicine.

Lo scritto sulla fiducia fu il dono della serenità e della speranza.

Cominciai così, proprio perché avevo aperto la porta alla fiducia, a lasciarmi andare, a lasciare che lo scritto mi parlasse, poiché sempre più si avvicinava a me e sempre più parlava anche di me.

Capii che l'accettazione serve a riconoscersi ed accettarsi, che non è un limite ma, anzi, in un'ottica più ampia, è necessaria per poter sviluppare tutte quelle potenzialità che permettono di vivere appieno la realtà del nostro essere e del nostro quotidiano.

Era l'inizio della fase del riconoscimento, se mi riconoscevo, allora potevo anche cominciare ad accettarmi, a perdonarmi ed a provare a ricontattare anche la mia sofferenza.

Comprendevo che avevo sempre guardato "al di fuori", che mi sentivo profondamente ferita perché profondamente sola, non quella solitudine che ci fa percepire gli altri lontani da noi, ma quella solitudine che è la percezione di essere noi, lontani da noi stessi. Lontananza costruita sulla necessità di difendermi e di tenere sotto controllo la conseguente sofferenza: per poter stare nel mondo alle condizioni dettate da altri avevo perso la capacità di "sentire" il mio mondo.

Naturalmente era un processo non programmato, ora è più facile per me avere un quadro d'insieme, mentre lavoravo era solo percezione della direzione, mi sentivo presa per mano e condotta sul cammino della pienezza dell'essere.

A questo punto, poiché posso dare l'impressione di esagerare circa la "potenza" di questi scritti, devo precisare che non ero digiuna di psicologia, della quale mi sono sempre interessata e che in passato, in momenti particolarmente difficili, mi sono rivolta a terapeuti seri, quindi avevo già svolto lavoro introspettivo.

La forza qui, risiede nel percorrere l'esperienza di un altro, un essere umano come tutti, che ha vissuto in prima persona situazioni dolorose, devastanti e di grande ricerca interiore. Non è quindi "teoria" quella che ci viene offerta, ma "solo" esperienza, non è certo poca cosa.

Quindi mi posi una domanda: se non ora, quando, potrò occuparmi di me?

Perché dovrei essere meno importante di tutto il resto? Se trovo il tempo di occuparmi del mio aspetto esteriore, non trovo il modo o il tempo di cambiare il mio abito interiore?

Non voglio più essere preda dell'abitudine al dolore e alla paura, quasi confortanti, visto che li conosco bene e che sembrano ormai far parte indissolubile di me. Probabilmente non scompariranno mai del tutto, ma posso capire qual è la loro origine e cosa li alimenta; non sono mostri ai quali fornire cibo, sono solo aspetti della mia umanità ferita e spaventata, la stessa che sperimentavo da bambina.

Non saranno più i miei padroni, non sarò più l'orso che balla (l'esempio di Renzo ne "La mente e i processi mentali").

Ora da adulti, liberi, con sguardo consapevole, possiamo scegliere ed abbandonare un po' alla volta lo schema di giudizio che ci siamo imposti quando il mondo esterno ci inviava tutta una serie di messaggi negativi dai quali non potevamo, per mancanza di maturità, difenderci.

La storia di Renzo ci dona la speranza di riuscire anche noi in questo processo di crescita verso l'accettazione e l'amore per noi stessi (e di conseguenza per tutto ciò che ci circonda). Siamo fortunati a trovare già qualche indicazione lungo la via ed ora ci vengono forniti gli strumenti e l'occasione.

Assieme sarà più facile, se ci crediamo, e soprattutto sarà un sentiero più dolce ed accogliente da percorrere, di quello che potremmo intraprendere da soli."

Si tratta di una testimonianza senz'altro straordinaria, dovuta alla lettura del saggio e più ancora alla capacità di Renzo Marinoni di restituirne i contenuti, attraverso la mediazione della sua esperienza personale, in una forma non solo più accessibile, ma anche emotivamente coinvolgente.

Attraverso la lettura, un'intuizione già presente in Licia Beltrami ñ di essere introversa - ma recintata dal dubbio, si è fatta strada e ha prodotto un'illuminazione. Le ha fornito la chiave per capire non solo il suo malessere nello stare al mondo, ma alla difesa che spesso adottano gli introversi che non riescono a decifrarlo e a dare ad esso senso: una certa estraneità rispetto al mondo e, soprattutto, la lontananza da se stessi, vale a dire intrattenere con il mondo interiore un rapporto caratterizzato dal sentirlo oscuramente come fonte di dolore e tentare di starne al riparo.

2.

Esemplare, l'esperienza di Licia Beltrami non è unica, ne è l'unica reazione prodotta dalla lettura del saggio (a cui limiterò ora l'attenzione).

L'esperienza dell'illuminazione, così sottilmente restituita da Licia Beltrami, sembra comune a parecchi introversi che si dedicano alla lettura del saggio. Per interpretare questa reazione, occorre ovviamente prescindere dal riferimento ad una Verità che viene rivelata. Per quanto ritengo che il saggio, pur nella sua estrema sinteticità, sia ricco di notazioni, vissuti e concetti abbastanza densi, sono perfettamente consapevole dei suoi limiti, delle sue lacune e del suo carattere approssimativo. L'illuminazione, dunque, non può essere fatta discendere dai contenuti informativi del saggio.

L'ipotesi alternativa richiede una breve digressione.

La consapevolezza dell'identità personale è imprescindibile da un'immagine interna conscia e inconscia, vale a dire da una serie di attribuzioni e di convinzioni che il soggetto ha a proprio riguardo, e che comportano il riferimento a codici normativi culturali. Negli introversi, la pressione dei codici normativi, per cui essi operano un confronto costante tra il loro essere e come si dovrebbe essere, determina molto spesso un'immagine interna conscia negativa, alla quale corripsonde, a livello inconscio, un'immagine interna solitamente ancora più negativa. La prima è ricavata dal misurare se stessi in rapporto al comportamento medio delle altre persone. Da questa misura, pressoché costantemente, gli introversi ricavano la convinzione di essere inadeguati, impacciati, poco capaci, "sbagliati".

La negatività dell'immagine interna inconscia è dovuta, invece, alla quota di emozioni sociali avversative che scorrono nell'anima dell'introverso nei confronti dei "normali", che vengono inconsciamente invidiati e allo stesso tempo disprezzati per la loro banalità, superficialità, rozzezza, ecc. Tali emozioni, che vanno dall'estremo di una sorpresa indignata a quello opposto di una rabbia cieca e vendicativa, incorrono inesorabilmente nella trappola di una colpevolizzazione inconscia per cui al vissuto di inadeguatezza si associa spesso quello di una oscura e latente asocialità o cattiveria.

In altri termini, la consapevolezza che gli introversi in genere hanno di sé è come un mosaico di frammenti di esperienza soggettiva e sociale assemblati in maniera tale da dar luogo ad un'immagine tutt'altro che esaltante.

La lettura del saggio, in questi casi, è un'illuminazione gestaltica: essa offre gli strumenti per ricomporre repentinamente quei frammenti in un insieme che ha un significato diverso, tutt'altro che negativo. Non si tratta dunque, in senso proprio, di un'illuminazione dovuta ad una verità che viene comunicata, bensì di un processo di significazione della propria esperienza che si sovrappone a quello preesistente e viene intuito come più vicino alla verità.

Se questo è vero, non bisogna ignorare la precarietà di tale esperienza. Essa, infatti, può essere facilmente illanguidita dal ripetersi di vissuti e di moduli di comportamento che fanno riferimento all'immagine preesistente negativa. Perché essa si consolidi e risulti efficace, occorre molto tempo e molto lavoro introspettivo.

Il consolidamento dell'illuminazione penso che sia uno degli obbiettivi dei gruppi di auto-aiuto.

3.

La lettura del saggio consegue, però, anche altri effetti, oltre a quello illustrato che, sinora, appare come il più frequente.

Distinguerei un effetto di illuminazione per eccesso e due reazioni "avversative".

L'illuminazione per eccesso è rara, ma forse meno di quanto si possa pensare. Essa è caratterizzata dal fatto che la lettura consente di dare un nuovo ordine ai frammenti di esperienza e alle intuizioni già presenti a livello soggettivo, ma comporta anche una rimozione dei limiti del modo di essere introverso.

Tali limiti sono sostanzialmente due: l'aspettativa che tutte le persone agiscano seguendo i principi ñ correttezza, scrupolosità, ecc. - che sono naturali per l'introverso, e un senso originario di giustizia particolarmente spiccato. Nella pratica della vita, quell'aspettativa viene, più o meno, regolarmente delusa, e il senso di giustizia urta contro indefinite circostanze che lo frustrano e lo esasperano. La conseguenza univoca di un rapporto con la realtà che rende difficoltosa l'accettazione della diversità estroversa e la comprensione di uno stato di cose prodotto dall'evoluzione storica ñ criticabile per molti aspetti, ma che viene riconosciuto dai più come naturale ñ è l'accumulo progressivo di rabbie che spesso raggiungono, a livello interiore, l'acme dell'esasperazione e dell'intolleranza.

Se l'illuminazione prodotta dalla lettura del saggio restituisce all'introverso il valore del suo modo di essere, ma lo porta a minimizzare o misconoscere i limiti che esso implica, la conseguenza in genere non è positiva. Il malessere introverso, infatti, non è dovuto solo all'interazione con il mondo così com'è, ma anche a quello che avviene nell'esperienza interiore del soggetto. Non c'è alcuna possibilità che tale malessere venga superato solo in virtù del recupero di quel valore. Il superamento postula, infatti, l'elaborazione della rabbia accumulata e dell'intolleranza in nome di una comprensione più profonda della storicità dell'esperienza umana e dei livelli di coscienza propri dell'estroversione, che spesso non comportano alcuna consapevolezza della superficialità, della rozzezza e delle conseguenze a carico degli altri dei comportamenti.

Il superamento dei limiti cui ho fatto cenno richiede un notevole impegno, che talora viene rifiutato in nome del fatto che l'introverso si chiede perché egli debba darsi tanto da fare per capire gli altri, mentre questi non s'impegnano minimamente per capire se stessi. La risposta è semplice: non si dà alternativa alla comprensione critica dello stato di cose esistente nel mondo per liberarsi dal malessere.

L'illuminazione per eccesso tende a demotivare l'introverso sulla via di tale impegno.

Le reazioni negative alla lettura del saggio sono due.

Alcuni introversi hanno un atteggiamento univocamente avversativo nei confronti della propria condizione o perché la ritengono troppo disfunzionale o perché fanno il possibile per coprirla con una maschera di falsa normalità. Essi, insomma, soffrono come tutti gli altri della propria condizione, ma in più la odiano, letteralmente.

Nel primo caso, la lettura del saggio, anche se dà luogo a qualche suggestione (un'illuminazione abortiva), conferma infine che si tratta di un modo di essere sbagliato e negativo, in rapporto alle conseguenze che produce. In altri termini, il valore potenziale del modo d'essere introverso viene minimizzato a favore dei limiti, che giungono ad essere drammatizzati.

La lettura è dunque irritante e dolorosa, perché il prendere atto del valore potenziale sembra null'altro che una beffa del destino: una tensione verso un'autorealizzazione di fatto impossibile. Al limite, essa determina una sorta di ironica squalifica di sé, che si traduce in un pensiero del genere: buono, bravo, sensibile, ma inetto a vivere, se non addirittura buono, bravo, sensibile per coprire la propria inettitudine.

Nel secondo caso, la lettura del saggio dà luogo sistematicamente ad un approccio cognitivo di tipo selettivo, orientato cioè a mantenere la differenziazione rispetto al mondo dell'introversione. Leggendo il saggio, l'introverso, che rifiuta di esserlo, pensa: questo mi riguarda, ma quest'altro no. A forza di sottolineare ciò che non lo riguarda, egli giunge a convincersi che le somiglianze sono di gran lunga minori delle differenze. Una circostanza ricorrente, in tale caso, è il riferimento ad un comportamento sociale apparentemente integrato e sereno. Valorizzando questo aspetto rispetto a ciò che accade nel suo mondo interiore,il soggetto può convincersi che l'appartenenza al modo di essere introverso non lo riguarda che marginalmente.

Penso che occorrerà tenere conto di queste categorie di introversi perché esso sono le più a rischio sotto il profilo psicopatologico. L'avversione nei confronti dell'introversione implica infatti né più né meno avversione nei propri confronti: circostanza ñ questa ñ che può dare luogo a ripiegamenti di ogni genere, automaltrattamenti, ecc. Il falso io, poi, è una strutturazione estremamente instabile della personalità, che può dare luogo facilmente e repentinamente a "collassi" dell'io di ogni genere.

In entrambi i casi, è probabile che il contatto interpersonale tra introversi che accettano o cominciano ad accettare la propria condizione e introversi che la rifiutano o la negano possa risultare più utile della lettura del saggio.